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L’olivicolura italiana va controcorrente

E’ naturale, in ogni manifestazione umana, osservare se quello che facciamo è in linea con quanto era stato previsto e preventivato e se i risultati correnti corrispondono a quelli ottenuti dagli altri per valutare se rientriamo nella norma ovvero siamo migliori o peggiori degli altri.
Prendiamo in considerazione l’olivicoltura italiana nelle sue tre fasi, produzione, trasformazione e commercializzazione e confrontiamola con quella dei nostri principali competitori che per semplicità identifichiamo con la Spagna.
La Spagna ha realizzato e porta avanti un programma di modernizzazione dei propri oliveti che consente di produrre a costi ridotti e quindi di avere olio più competitivo sul mercato.
Sfruttando al meglio gli aiuti e interpretando in modo deciso (spregiudicato) i regolamenti europei si ritrova impianti moderni, produttivi, adatti per una manutenzione ed una raccolta meccanizzata che sono alla base del contenimento dei costi di produzione.
In Italia la riconversione dei nostri vecchi oliveti è impresa difficile e costosa. Forse è per questo che non viene presa nemmeno in considerazione. Gli aiuti comunitari garantiti fino al 2013 dovrebbero servire anche (soprattutto) a questo ma di piani di sviluppo e di rinnovo degli impianti nessuno ne parla. Nemmeno quegli enti e quelle associazioni che nel nome di questa riconversione prendono ogni anno cospicui finanziamenti (il 10% degli aiuti Cee destinati agli olivicoltori)
La Spagna molisce le proprie olive in circa 2000 frantoi e dispone di capaci ed efficienti centri di raccolta e stoccaggio.
In Italia con una produzione di olive che è la metà di quella spagnola abbiamo circa 6000 frantoi (5441 attivi nella campagna 2003/04 secondo dati Agecontrol) e per lo stoccaggio le Moc in funzione sono insufficienti. E, contro ogni previsione e contro ogni logica economica, il numero dei frantoi non accenna a diminuire, anzi aumenta se consideriamo il boom dei nuovi mini impianti aziendali.
A proposito della trasformazione deve essere tenuto conto della diversità dei due modelli adottati. In Spagna il frantoio acquista le olive, le seleziona, le trasforma, immagazzina e commercializza il proprio olio ottimizzando così il rendimento di estrazione e l’utilizzazione dell’impianto. In Italia il frantoio offre un servizio, lavora per conto terzi partita per partita con tempi più lunghi anche discapito di un utilizzo ottimale delle macchine e quindi con costi superiori.
L’olio Spagnolo si classifica in poche denominazioni riconducibili a poche zone facilmente identificabili dai confezionatori e dai consumatori (Cordoba, Jaen, Siviglia). E’ così anche per l’olio Greco (Chania, Iraklio, Kerkira,Lakonia).In Italia le Igp/Dop/Sottodop ormai non si contano più. Diversificare e distinguere i nostri prodotti al fine di valorizzarli è una scelta strategica della nostra agricoltura. Ogni produttore può valutare i risultati pratici di questa scelta: dati ISMEA rilevano in questo periodo i seguenti prezzi all’ingrosso per le DO: Toscano 4,45 euro/Kg, Terra di Bari 3,55, Dauno 3,39, Colline Salentine 3,50, Cilento 4,50, Valli Trapanasi 3,70, Monti Iblei 3,55.<BR>Se allarghiamo la visuale oltre il Mediterraneo lo scenario è molto più complesso e sotto certi aspetti da brivido. Se non si pongono le basi per un piano di ammodernamento serio c’è il reale pericolo che, dopo la delocalizzazione del vino già in atto, anche l’olio possa essere prodotto in altri paesi meglio se dell’emisfero sud: l’olio nuovo tanto ambito ci sarà anche da aprile a giugno.

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